Giovanni Fancello |
La conoscenza del “buon mangiare”, limitata alla mia esperienza, è frutto della capacità di mia madre, grande e raffinata cuoca, di trasformare abilmente i prodotti di mio padre, “omerico” allevatore di animali e pertanto fornitore di materie prime. Se non temessi l’enfasi, dipingerei i miei genitori come testimoni di una cultura ancestrale, come custodi di questo tesoro di gesti e conoscenze secolari.
Mio padre ripropone il suo lavoro di pastore secondo consuetudini antiche: nel suo quotidiano, passa da gesti nuragici, primitivi (come la manifestazione della forza dell’uomo su ogni animale, mangiando un pezzo di fegato ancora caldo della bestia appena uccisa), a gesti simbolici della cristianità (come fare il segno della croce nel rompere, con un mestolo di pero selvatico, il latte cagliato).
Invoca il sole al suo sorgere, con preghiere segrete (mi ha sempre detto di non rivelarle a nessuno altrimenti avrebbero perso la loro efficacia) per far guarire le bestie aggredite dai vermi. Osserva la luna prima di tagliare la legna, di piantare una pianta o preparare la salamoia per il formaggio. Mia madre accompagna i suoi ritmi di lavoro, ne rispetta i riti e li trasferisce nella sua cucina, salvaguardando il metodo tradizionale tramandato oralmente e rimasto intatto nei secoli in tutto il Mejlogu.
Il risultato è un insieme di ricette insaporite dall’uso di erbe aromatiche e selvatiche che crescono spontaneamente e vengono combinate con perizia assieme alle materie prime. Le sue pietanze racchiudono così, inconsapevolmente, influenze e suggestioni che in un’isola del bacino mediterraneo non potevano essere ignorate. Lo stimolo a fare questo tipo di raccolta è stato anche il notare le condizioni di crisi, anche in Sardegna, dell’alimentazione moderna .
I nuovi cuochi sono artisti di un’arte che si consuma velocemente. Ogni nuova creazione gastronomica dura solo il tempo del suo consumo, poi scompare, si dimentica. L’alimentazione, da arte, sta diventando una subordinata della tecnica e la chimica sta sostituendo la semplice igiene. Il consumatore ha perso il senso delle quattro stagioni e dei frutti che la terra, in sapiente alternanza, gli offre. Il surgelato ha spiazzato il ritmo delle stagioni e offre, in qualsiasi momento dell’anno, un pezzo di natura in tempo reale, sottratta alle leggi del tempo e dei cicli stagionali.
Grazie di cuore a tutti
Ciao benvenuto nel mio blog: Vi aspetto per commentare.